Il 20 e 21 settembre 2020 l’Italia ha votato Sì al referendum per il taglio dei parlamentari italiani di Camera e Senato. Il riforma costituzionale approvata ha portato dunque il numero dei deputati elettivi da 630 a 400 e quello dei senatori da 316 a 200.
Ma come ci siamo arrivati?
Gli italiani votano Repubblica, ma nel tempo senatori e deputati restano fissi
Il primo referendum costituzionale italiano risale al 16 marzo ’46. Il governo De Gasperi, con la firma di Umberto di Savoia, emana il decreto legislativo n. 98. Affida così, per la prima volta, la scelta della forma istituzionale dello Stato Italiano ad un referendum popolare.
Dunque il 2-3 giugno i cittadini italiani, tra Monarchia e Repubblica, scelgono la seconda e viene eletta anche l’assemblea costituente. Quest’ultima approva la Costituzione della Repubblica Italiana che entra in vigore il 1 gennaio ’48.
Mentre la legge costituzionale del ’63 sancisce per la prima volta il numero fisso di 630 deputati e 315 senatori.
Successivamente, un disegno di legge del 2001 prevede la camera dei deputati con 518 deputati elettivi e il senato della repubblica con 252 senatori elettivi. Eppure il referendum del 2006 non è favorevole alla revisione e le cose restano invariate.
Per concludere, il testo di riforma costituzionale della XVII legislatura prevedeva 630 deputati elettivi e 95 senatori elettivi ma, ancora una volta, al referendum del 2016 vince il NO.
Questo, fino alla riforma odierna. Questo referendum costituzionale di settembre aveva dunque per oggetto la sottoposizione all’approvazione popolare di una revisione costituzionale. Ma ne esistono altri tipi?

In che modo gli italiani esercitano la sovranità popolare
Oltre al referendum costituzionale, esiste quello abrogativo, con cui si domanda agli elettori se desiderino o meno abrogare una o più disposizioni di legge ordinaria.
Esiste quello regionale, che riguarda la carta fondamentale della regione, lo statuto. Quest’ultimo, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento.
È dunque sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale.
Infine quello territoriale riguarda il passaggio da una regione a un’altra di province o comuni, l’istituzione di nuovi comuni o la modifica della circoscrizione comunale o della denominazione.
Quindi tra i vari tipi di referendum esistenti, con quello costituzionale del 21-22 settembre gli italiani hanno accettato di modificare un assetto delineatosi nel 1963, che ha resistito a due tentativi di modifica, rimanendo invariato per 60 anni fino a pochi mesi fa.

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